di Maestra Rosalba

giovedì 30 agosto 2012

Dal banco alla cattedra.

A scuola ci vado da quando avevo sei anni, nel frattempo ho solo cambiato posizione nel banco. E' ciò che ho pensato ieri dopo aver letto qui. E da qualsiasi parte mi sia seduta in questi quarantacinque anni ho imparato, né per dovere, né per scelta, ma perché questo mestiere non si può fare altrimenti in qualsiasi grado di scuola si insegni. Apprendere è stata la parola d'ordine di questo lungo percorso dal banco alla cattedra, il culmine non è solo in ciò che faccio in aula con e per gli alunni, ma persino in queste righe. 

Nel vortice di tutto ciò che riteniamo vada male nel nostro paese finiamo con il contestare l'ovvietà, la banalità. Quelle ribadite dal Ministro sono ovvietà sconcertanti, tali che nessuna discussione ne dovrebbe nascere, anzi a voler essere puntigliosi ci sarebbe da aggiungere che aver fatto qualche anno di supplenza non conferisce il diritto a dettare le condizioni del proprio ingresso in ruolo. E  l'unica verità è che davvero questo meccanismo infernale per cui ci sono persone che rimangono nel limbo della scuola per decenni andrebbe fermato. Fare in modo che si possa stare o dentro o fuori, sempre previo accertamento dell'adeguatezza al ruolo.
Inoltre, lo abbiamo detto più volte e da più parti, il lavoro nella scuola non può essere il ripiego di altre scelte lavorative morte sul nascere. Insegnare richiede doti quali appunto la capacità d'imparare, l'autorevolezza e la chiarezza d'intenti. Il sapere perché.
C'è una domanda che andrebbe fatta a ciascun candidato, preliminarmente al concorso che verrà espletato a breve: Lei, perché vuole insegnare? 
Una domanda non da quiz, ma da risposta aperta, perché è da quella motivazione che discende tutto il resto, compresa la capacità di imparare che coincide con la capacità di rendersi disponibile come risorsa agli studenti prima e alla società poi. Se uno non ha ben chiaro questo è meglio che ritorni al suo mestiere originario. 
E su quelle risposte io sarei molto severa, ma è la stessa severità che ho utilizzato per me stessa quando sono entrata ventitreenne a fare questo lavoro e dopo vent'anni, ancora, quando ho dovuto ripensare il mio ruolo e cambiare in quanto richiesto dalla situazione. Mi sono trattata con estrema severità e prima di chiedere a chi mi circondava qualcosa che sentivo mi fosse dovuta, ogni sera prima di addormentarmi mi sono chiesta se io avevo fatto tutto ciò che era nelle mie possibilità d'insegnante. 
Ecco se la vostra risposta è sì, se siete disposti ad aprire un libro dopo cena anche quando crollate dal sonno, se siete disposti a incaponirvi di fronte una cosa che non capite, a cercare risposte a domande di altri, ai dubbi, se siete disposti a confutare le certezze e a seminare a vostra volta dubbi, impegnandovi a rimuovere lo strato di banalità e di errate certezze che ricoprono la scuola, allora il concorso è già superato.
Superato non con la sola competenza oltremodo necessaria sui metodi e sui contenuti, ma con l'attitudine che si matura già ai tempi della scuola e come persone scegliendo consapevolmente di fare questo lavoro, lavoro che non è quindi esclusiva possibilità di impiego e di sostentamento per se stessi, diritto individuale inalienabile, ma mai disunito dallo scopo sociale che il mestiere impone e che nella mia esperienza viene prima del diritto personale.

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mercoledì 29 agosto 2012

Come affrontare la prima classe di scuola Primaria

Come affrontare la prima classe di scuola Primaria è un tema parecchio dibattuto in rete, non spauracchio dei bambini ma quasi uno spettro per i genitori, molti dei quali affrontano con ansia il periodo che precede l'ingresso del loro figlio a scuola.
Queste paure trovano la loro ragione d'essere nei racconti, provenienti sia dal contesto sociale sia dai media, che non sempre descrivono realtà esaltanti, raccontando di vere e proprie tragedie scolastiche. 
Intanto è bene ricordare, non perché è rassicurante ma perché è vero, che ogni esperienza di scuola è un caso a sé, persino con gli stessi insegnanti e nella stessa scuola. Non è affatto vero che casi di disfunzione scolastica producano sempre situazioni analoghe. La realtà scolastica di un bambino dipende da più fattori: gli insegnanti, il gruppo classe e la sua famiglia. Cambiando uno di questi fattori è evidente che non si possono fare associazioni di alcun tipo su esperienze vissute da altri. 
Anzi a volerla dire tutta la prima cosa da fare, banalmente, è proprio evitare di ascoltare cose negative sia sulla scuola, sia sui compagni che sui futuri insegnanti del bambino.

Prima dell'ingresso
Può essere che la scuola organizzi una riunione preliminare affichè genitori e insegnanti possano conoscersi e scambiare le notizie necessarie al funzionamento dei primi giorni di scuola, è l'occasione per sciogliere i dubbi, per farsi un'idea di cosa chiedono gli insegnanti, per misurarsi insomma sui modi di fare e sulle incombenze, anche pratiche, di ciascuno. Se la scuola non l'organizza non c'è ragione per non provare a proporla come genitori, rivolgendo con cortesia una richiesta al Dirigente o ai futuri insegnanti quando si sa chi sono.

Il primo incontro
Incontrarsi la prima volta al di fuori del contesto classe serve a "prendere le misure", tastare il terreno su entrambi i fronti, genitori e insegnanti. Entrambi devono fare lo sforzo di capire quali sono le aspettative vicendevoli, quali sono i punti ritenuti più importanti, quali le cose da evitare e quali quelle da fare.
Fin dall'inizio è bene improntare la relazione su un rapporto schietto, come si usa dire "giocare a carte scoperte", dirsi le cose sempre nelle sedi opportune e mai per interposta persona, meno che mai gli alunni, da entrambe le parti. Un solido rapporto scuola famiglia si fonda, al contrario di ciò che si può credere su basi elastiche. Avere regole non significa dover procedere per inviolabilità, le regole sono fatte per essere concordemente cambiate quando non sono più funzionali, l'importante è saperlo reciprocamente. Accordarsi significa per entrambi lasciare da parte idee e preconcetti e lavorare sul confronto man mano che le cose procedono, limando e trovando soluzioni volte al miglioramento, saper affrontare le difficoltà quando si presentano, essere propositivi, provare a portare soluzioni senza prevaricarsi nei rispettivi ruoli. 
E' importante ricordare che i bambini sono alla prima esperienza, che lo sono spesso anche i genitori e che gli insegnanti sono il motore propulsivo a scuola mentre a casa lo sono i genitori. Il riconoscimento dei rispettivi ruoli è il punto di partenza più importante.

Le soluzioni pratiche
Ma tutto quanto si è detto sopra sarebbero solo buoni proclami se non si è in grado di concretizzarli in fatti e procedure ben precisi. Più di ogni altra cosa le procedure, i fatti e le soluzioni organizzative sono il segno tangibile di una scuola credibile e che funziona. Sia pure in questo periodo di incertezze l'autorevolezza dell'istituzione scuola è data da atti concreti e trasparenti nel funzionamento, dalle promesse mantenute nel patto educativo che rappresentano la carta d'identità della scuola e in aula dagli insegnanti: comunicazioni scritte, comprensibili, puntuali ed efficaci, orari di ricevimento settimanali o quindicinali, ad esempio durante l'ora di programmazione al pomeriggio, con possibilità di personalizzazione magari utilizzando un'ora buca al mattino. Non eccedere nelle richieste, perché in prima sono davvero poche le cose che servono tra materiali e corredo scolastico. Specificare l'utilizzo di un grembiule o qualsivoglia divisa facendo riferimento ai documenti ufficiali della scuola. Dettagliare il funzionamento degli uffici di segreteria e le procedure sulla sicurezza e la privacy; anche quando l'istituzione consegna copia dell'estratto del Pof è giusto che gli insegnanti siano in grado di fornire sempre questo genere di informazioni.

Affrontare le complessità
Rendersi disponibili a trovare una soluzione, utilizzare l'ascolto attivo, non anticipando le conclusioni ma sollecitando con domande che aiutano a capire entrambi, non dare mai giudizi precipitosi o partire durante un colloquio con frasi "Con suo figlio non so più che fare", nulla spaventa di più la famiglia del senso d'impotenza di un docente, che invece dovrebbe in questo caso, non solo sapere come comportarsi, ma esprimersi dicendo di aver provato diverse soluzioni che non si sono rivelate efficaci e chiede alla famiglia indicazioni e sostegno per capire  ed elaborarne una condivisa.
E per i genitori invece mai lasciarsi andare a commenti sull'operato dell'insegnante che sarà il primo ad accorgersi perché i bambini a scuola sono trasparenti e il loro atteggiamento finisce con l'essere spia di ciò che si argomenta a casa. Meglio recarsi a scuola e affrontare con l'interessato il problema quale che sia.

In ultimo, ma non meno importante
E se davvero al termine di un anno qualcosa dovesse andare storto e potrebbe prospettarsi la necessità di un cambiamento di scuola, non c'è motivo per rammaricarsene: il cambiamento è meno drammatico di ciò che appare, anzi a volte è salutare per tutti. E' capitato talvolta, avendo notato segni si sfiducia nelle famiglie, di consigliare un cambio di scuola. Non c'è nessun male a dare l'opportunità al bambino, che per tanti motivi, neppure attribuibili a qualcuno in particolare, potrebbe non aver trovato il clima ideale per lui o che questo clima non si sia stati in grado di costruirlo, di cambiare e di ricominciare altrove.
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lunedì 27 agosto 2012

Raccontare ai bambini lo sbarco sulla Luna

La morte di Neil Armstrong avvenuta ieri  è stata l'occasione per celebrare e ripercorrere, anche con chi non c'era ancora, l'impresa dello sbarco umano sulla luna.

Il desiderio di andare per le vie del cielo è un sogno che accomuna tanti di noi, al di là della paura tutta umana di volare, la curiosità di sapere cosa c'è e com'è fatto quello spazio buio che ci circonda ci insegue fin dall'alba umana, da quando è stato possibile riflettere sulla nostra stessa esistenza. E' la curiosità che ha alimentato la ricerca scientifica, che ha permesso di conoscere una piccola parte dei meccanismi che regolano il mondo nel quale viviamo. La stessa curiosità che, presente in ogni bambino, dovremmo sollecitare e mantenere viva a scuola.

Riflettevo ieri che se mi proponessero di fare un viaggio per raggiungere la ISS (cioè la stazione spaziale orbitante intorno alla terra, quella dove è stato Paolo Nespoli lo scorso anno) direi un sì incondizionato, al punto che non mi importerebbe se al ritorno qualcosa andasse storto e dovessi restare lì per sempre. Sarai ben felice di rischiare la mia fragile e piccola esistenza per vedere la terra dall'alto e buttare uno sguardo oltre l'atmosfera, nel buio, e osservare le stelle un po' più da vicino di quanto non sia dato di fare dalla terra, così orrendamente inquinata anche dal punto di vista luminoso. Al ritorno andrei in giro per il mondo a raccontare quanto è infinito il cielo lassù e quanto è bello il nostro pianeta visto da lontano.

Ma torniamo con i piedi per terra e in attesa di poter viaggiare anche noi comuni mortali oltre le quote degli aerei civili, utilizziamo quanto reperibile in rete per fare con i nostri alunni e bambini a casa esperienza di quell'impresa:

We choose de Moon è una stupenda animazione interattiva prodotta dalla Nasa, in occasione dei quarant'anni dello sbarco, a beneficio di chi non  c'era allora e per chi vuole ricordare oggi quel viaggio. Il percorso è suddiviso in tappe animate anche se in inglese è estremamente intuitivo.


I video dell'allunaggio su Rai Teche (Ricordarsi di scaricare il plug in)


Nel pdf allegato una serie di titoli di libri di astronomia per ragazzi dagli otto ai dieci anni.

Per concludere segnalo il post Popinga che presenta Moonshot, e a cui vi rimando per una serie di altre considerazioni che non ripeto qui, un testo illustrato per bambini sullo sbarco sulla Luna, uno dei pochissimi a dire il vero.

I credit della foto sono i miei, scattata con una compatta digitale in quella sera in cui la Luna per via della sua posizione nel cielo si vede più grande del solito.
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sabato 25 agosto 2012

Concorso Wikiloves Monuments

Cari lettori, prima di tornare a parlare a pieno ritmo di scuola e affini, vorrei segnalare questo interessante progetto di Wikimedia Italia. Si tratta di Wiki Loves Monuments: un concorso fotografico che valorizza il patrimonio culturale italiano su Wikipedia, e invita
... ciascuno ad essere protagonista nel documentare, valorizzare e tutelare il patrimonio culturale. In Italia Wiki Loves Monuments contribuisce con il coinvolgimento di volontari e istituzioni alla realizzazione con licenza libera di un elenco dei beni culturali con codici identificativi, alla produzione di voci di Wikipedia e di immagini per Wikimedia Commons. Il concorso fotografico in Italia ha un suo specifico regolamento; i suoi vincitori partecipano come finalisti al concorso Wiki Loves Monuments a livello internazionale.

Wiki Loves Monuments è stato ideato e lanciato a settembre 2010 da Wikimedia Netherlands e dal 2012 è aperto alla partecipazione di tutti i paesi del mondo, anche Wikimedia Italia aderisce all’iniziativa da quest'anno.
In sintesi le regole per partecipare sono le seguenti:
- è necessario avere un indirizzo e-mail valido
- le fotografie devono essere realizzate e caricate dalla stessa persona
- le fotografie devono essere caricate su Wikimedia Commons nel periodo che va dal primo al trenta settembre 2012
- le fotografie devono essere rilasciate con la licenza CC-BY-SA
- il soggetto delle fotografie deve essere uno dei monumenti italiani inseriti nelle liste apposite
- le fotografie devono contenere il codice identificativo del monumento
- non c’è limite al numero di fotografie con cui si può partecipare
- non ci sono vincoli sulla risoluzione delle immagini e sulla loro elaborazione
- è possibile partecipare anche con foto già fatte, purché se ne sia l’autore.
Saranno premiati i primi dieci classificati e gli stessi accederanno al contest internazionale, con la possibilità di vincere ulteriori premi.

Tutte le informazioni sul sito.
 
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martedì 21 agosto 2012

Ci sono un milanese, un romano e un sardo.

Ci sono un milanese, un romano e un sardo. Ecco, penserà qualcuno la solita barzelletta scema e vecchia. No, dirò io allora, si tratta di bambini. Nell'affollata spiaggia di un lunedì della seconda metà di agosto, sotto il caldo rovente di quel grill elettrico che è il sole, alcuni bambini giocano solitari nel mare limpido, trasparente al punto che i riflessi di luce vanno dolcemente a posarsi sul fondo sabbioso popolato da curiosi pesciolini. E questi bambini, che in realtà non sono tre ma una decina circa, giocano solitari ciascuno per proprio conto: uno ha un pallone, uno si diverte a pescare grossi sassi e a rilanciarli sul fondo, altri due giocano da soli con un piccolo gommone. 
Le ore passano, e a me da "osservatrice fuoriservizio di comportamenti" di bambini, non sfugge che dopo due ore dal mio arrivo sono ancora lì che giocano in solitaria a pochissimi passi l'uno dall'altro, forse si studiano o prendono le misure, al punto che lo faccio notare ai mei compagni di spiaggia. 
Quanto tempo ci impiegheranno a fare se non un unico gruppo, almeno ad avvicinarsi a scambiare due parole, a far rotolare quel pallone da una mano all'altra... 
Lo penso ma come spesso accade, complice il frescolino sotto l'ombrellone mi appisolo, roba da poco, qualche minuto come i vecchi finchè non mi svegliano le voci degli adulti. Allora mi rimetto a sedere e controllo a che punto è il mio esperimento (era un'esperimento?). I bambini si saranno calamitati l'uno sull'altro? O avranno passato l'intero pomeriggio a studiarsi per poi scoprire che non c'è più tempo di giocare?
Nemmeno il tempo di pensarlo e di fronte a  me un nugolo di nove bambini, uno con il pallone in mano, sta organizzando una partita di pallanuoto e discutono, in cerchio nell'acqua bassa, come formare le squadre. Una mamma rientra da fare due passi e sospira contenta "Ah ecco, hanno fatto amicizia". Anch'io sono contenta perchè c'è stato un momento in cui ho pensato che non sarebbe accaduto, per qualche minuto ho indossato l'idea che i bambini di oggi fanno cose diverse, che pensano diversamente da come facevamo noi, che sanno stare solo davanti al pc o alla play. E invece va a finire che c'impiegano più tempo a superare quella diffidenza di cui vengono forzatamente nutriti, ma finiscono con il fare le stesse cose di sempre.

Intanto il sole sta calandosi in mare, questo pomeriggio è ormai virato verso la sera, in spiaggia restano i soliti ritardatari del tramonto, i bambini hanno smesso di giocare la loro partita, hanno fatto merenda  e ora salgono alle case e alle auto carichi dei loro giochi. E anche io torno a casa contenta: la realtà è sempre più bella di quella che raccontiamo.
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martedì 14 agosto 2012

I segni della civiltà

Non so neppure se questo sentire che mi ha accompagnato per anni fosse un fatto condiviso da altri,  o se non fosse un pensiero mio solitario. Fatto sta che già a metà di agosto approssimandosi il rientro a lavoro, anni fa, cominciavo a figurarmelo questo rientro. Mi succedeva da studentessa, per un ordine di motivi diversi ovviamente, e mi succedeva da insegnante, soprattutto nel periodo in cui lavoravo  nella scuola Infanzia.
Quello che mi accompagna oggi è diverso rispetto ad allora. Quell'attesa piacevole  di qualche anno fa è sbiadita, sostituita dal senso di responsabilità e dal peso che caratterizza portare avanti una classe di scuola elementare, dalla certezza che i rapporti con i colleghi, un tempo fatti di divergenze ma anche di divertimento insieme ai bambini, sono oggi di una qualità marcatamente diversa.

Alla scuola Infanzia si torna un po' tutti a giocare, bambini e insegnanti, ed è quello il bello dell'avventura. Alla scuola Primaria ad un certo punto, verso la fine della terza, si smette di giocare, e sulle spalle si forma il carico di un apprendimento che diventa più compiuto e che fatalmente si scontra con l'inizio dell'adolescenza dei bambini non più bambini. Sarà che la concentrazione richiesta sul fronte bambini/genitori è notevole, ma si capisce presto che i rapporti coi colleghi sono generalmente ritenuti meno importanti. Si percepisce che la competizione è spesso il condimento delle relazioni, non il più antipatico diciamolo, ché le cose brutte sono altre, ma neppure il migliore per rinsaldare rapporti umani. Alla scuola Primaria si finisce che ciascuno corre per sé, come gli insegnanti così gli alunni, per quanto si provi a creare gruppo, la pausa estiva stratifica ogni cosa costringendo ogni anno a riniziare da capo, nulla cementa, anno dopo anno una cosa copre l'altra. Sarebbe sbagliato attribuire colpa di ciò a qualcuno. Negli anni le riforme, l'enorme aumento dei contenuti, un'attenzione mediatica sempre troppo alta e sulle cose che contano di meno, una frontalità con i bambini più marcata e sfibrante, una burocrazia più pressante hanno rimosso quegli aspetti di divertimento che devono caratterizzare una buona scuola anche sul fronte docente. 
Quando pensiamo al divertimento del bambino che non significa passare il tempo a ridere, ma vivere in un clima buono e adatto a lui, non riflettiamo abbastanza se il clima intorno ai docenti, che non è fatto solo di colleghi, ma anche e soprattutto di organizzazione sia teso a far star bene. 
E allora non è che non sono contenta di rientrare, io per fortuna uno spazio di divertimento me lo sono ritagliato con le famiglie, con i bambini per primi e i qui in rete con chi mi legge, però ecco, credo che un'attenzione maggiore verso chi passa tanto tempo con i bambini, che a scuola sono figli di tutti, sarebbe un segno di civiltà e forse un investimento sul futuro. Investimento con quotato in borsa, me ne rendo conto, ma forse non meno importante anche se non produce PIL, anche perchè ciò che produce benessere dovrebbe valere di più perché collegato ai sogni e alla vita delle persone dai quali dipende il futuro di altre persone.
E a me basta queste riflessione per cancellare  l'incertezza e la fragilità legata al rientro a scuola di questi ultimi faticosi anni. E a voi?
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lunedì 13 agosto 2012

Imparare in natura: La Ninfa del corbezzolo

Loro abitano questo territorio da tempo immemore, io ne ho ricordo fin dall'infanzia. 
Di carattere fuggevole, si posavano il tempo di uno sguardo, mentre quatti quatti  e circospetti si cercava di andarle a vedere ecco che erano già volate lontano. Non frequentano solo le spiagge ma per noi mortali, in specie nella Costa Verde, è più facile osservarle lì, quando durante l'estate si avvicinano a succhiare fra le rocce i fondi di acqua salata o di chissà quale altro nettare a loro gradito.
Ciò che è invece straordinario è fare amicizia con loro: queste simpaticissime principesse della macchia mediterranea, le Ninfe del corbezzolo.
Le informazioni su di loro, che in realtà si chiamano Charaxes jasius, chi sono, cosa fanno e dove vivono, le trovate qui.
Avete idea di quanto può essere divertente e soprattutto istruttiva, molto meglio di una lezione cattedratica, per adulti e bambini, una giornata al mare in compagnia di questi insetti?

Per prima cosa dovrete armarvi di un frutto maturo, aprirlo, deporlo in zona e invitarle a pranzo, dopo un modesto periodo di osservazione (la loro nei vostri confronti) con brevi e fugaci incursioni ispettive, cominceranno a svolazzare intorno e a fermarsi a succhiare il frutto. Scoprirete che ai vostri primi tentavi di avvicinamento, sia che vogliate fotografarle sia che intendiate solamente osservarle andranno via quasi subito. Se riuscirete a non spaventarle in alcun modo, soprattutto evitando movimenti bruschi e repentini e facendo finta di nulla per qualsiasi cosa facciano, vi renderete conto che sono molto curiose e dopo aver capito che non c'è pericolo cominceranno a mettere il naso fra i vostri oggetti o addirittura posarvisi addosso. 
Una di loro ieri mi si è posata sulla schiena e ho sentito distintamente la spirotromba che succhiava la crema solare. Man mano che prendono confidenza, dopo la prima e la seconda, attraverso il silenzioso passaparola che solo loro conoscono, ne arriveranno delle altre, giocheranno a rincorrersi e sotto gli occhi dell'osservatore cominceranno a contendersi il pasto a colpi di apertura alare. 

Chi lo ha detto che al mare dalle nostre parti si può solo prendere il sole? 
Ci sono insegnanti in abiti sgargianti e non serve nemmeno il taccuino per prendere gli appunti, basta un occhio attento, indagatore e curioso della vita,  tutt'al più  con una macchina fotografica o una piccola videocamera potete portare a casa un ricordo. 
Infine, se siete bambini, ricordate che un piccolo resoconto di quanto visto è un ottimo compito delle vacanze.




Cliccare su un'immagine per visualizzare la galleria di foto. L'ultima foto è pubblicata per gentile concessione di mia sorella.
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sabato 11 agosto 2012

La secolare mentalità dell'attesa

I lavori estivi che uno studente può trovare qui sono pochi, nei bar che assumono personale estivo, nelle campagne per la raccolta dei pomodori, ma non ci va più nessuno, nelle spiaggie nelle periodo a cavallo tra luglio e agosto. Fino allo scorso anno i bagnini in servizio nelle spiagge qui intorno erano due, da quest'anno è ridotto ad una sola persona. E' così che nelle diverse spiagge della Costa Verde si aggirano questi ragazzi, che un po' controllano e un po' cercano di scambiare due parole perchè stare soli tutto il giorno in mezzo alla folla non dev'essere una cosa gradevole.
In questo modo abbiamo conosciuto Giorgio, o meglio lo hanno conosciuto delle mie giovani amiche che sono andate a giocare nelle onde del mare leggermente mosso, una di loro è inciampata nei sassi e così dopo un po' ce lo siamo visto arrivare sotto l'ombrellone a chiedere come stava l'infortunata.
Noi stavamo facendo merenda così gli abbiamo offerto qualcosa, ma lui ha rifiutato dicendo che non poteva mangiarre, un rifiuto poco convinto che si è piegato al secondo invito. Una parola via l'altra è abbiamo scoperto che i gentiori sono nati a due passi da casa nostra e che le nostre vite, come spesso accade, si erano intrecciate ben prima di questo pomeriggio di agosto.
Come in tutti i discorsi da spiaggia e da bar si è passati alle domande di rito sul cosa fai, studi, di cosa ti occupi. 
Questo ragazzo dalla carnagione scurita dal sole e dai brillanti occhi verdi ha detto candidamente di aver finito da qulche anno le superiori conseguendo un diploma alle Industriali e di non aver proseguito per mancanza di voglia. Allora qualcuno gli ha chiesto cosa avrebbe fatto dopo il lavoro estivo e che progetti aveva, se ne aveva. Con fare disincantato ha detto di non sapere proprio cosa sarebbe accaduto di lì a breve, che forse sarebbe potuto andare a Firenze ad aprirsi un bar o forse sarebbe restato qui a cercare qualcosa, ma che non lo sapeva, che proprio non aveva un'idea e che qualcosa avrebbe fatto, forse. 
Ha parlato con una voce argentina lo sguardo limpido e bello quasi trasognato. Io ho sollevato lo sguardo dalla mia lettura e ho compinciato a guardarlo meglio questo ragazzo dalla voce allegra con un ipotetico futuro da barman. Chiedendomi come si fa a ventitrè anni a non avere un progetto serio in tasca, a viaggare in questa vita senza una bussola, una traccia d'idea che traghetti verso il futuro.
Mi sono tornate alla mente le parole di un altro ragazzo poco più grande, che abbandonata la facoltà di Giurisprudenza che non aveeva scelto ma che faceva con profitto, ha dichiarato di non sapere cosa fare della sua vita.
Io di fronte a questo spreco di talenti, di fronte a questa resa quasi fisica, provo un senso di smarrimento e una forte rabbia. E non voglio indagare le statistiche e sapere se sono in tanti o in pochi a pensarla così, perchè anche solo un giovane che si è perso scolasticamente prima e lavorativamente poi è già un costo altissimo per il mio modo di vedere.
E mi rendo conto che qui la mentalità dei perdenti mista alla sicurezza dell'ineluttabilità, si respira nell'aria fin dall'infanzia, si assume con il latte materno prima e con il latte vaccino poi, si respira mescolata all'ossigeno. Una parte di noi si consuma nella secolare idea dell'attesa, del qualcosa cambierà prima o poi, ma ad opera di altri. E in questa attesa si sono estinte vite intere ad aspettare. Vite sprecate alla ricerca di espedienti per tirare a campare. O tirare a campare con la pensione dell'anziano di casa. 

Non so se si può nell'arco di un tempo breve cambiare questo modo di pensare di vivere, o almeno scardinare un po'. Non possiamo eternamente, dichiararci vittime e buttarci via o consegnarci  mani, piedi e testa ad un'altra terra: se è pur vero che le giovani generazioni si sentono figlie del mondo, è anche vero che non possiamo sguarnire per intero questo angolo di mondo.
E allora, concludendo, c'è un'altra operazione di salvataggio che andrebbe fatta, oltre quella doverosa nelle nostre belle spiagge, il salvataggio delle risorse e non quelle del territorio, quelle della nostra testa.
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mercoledì 8 agosto 2012

Scuola Digitale: Il Caso Sardegna

Che qualcosa fosse andato storto nel progetto Scuola Digitale lo si è capito già i primissimi giorni di Marzo 2012, quando nelle scuole si è atteso invano l'arrivo delle Lim dopo la fretta che aveva caratterizzato la realizzazione del cablaggio.
Sul progetto è calato da allora un silenzio  e l'unica cosa che fu dato sapere era che la modalità di acquisto delle Lim era cambiata (clic). Fin qui nulla di importante anche se è sempre da piccoli cambiamenti di forma che si intuisce che la posta in gioco è ben altra.
E' bastato arrivare ad Agosto per veder scoppiare nell'insopportabile calura estiva il problema vero, la questione nodale che di fatto aveva rallentato e poi fermato il progetto. 
I nodi sono venuti al pettine in questi giorni con questo documento, che Silvano Tagliagambe direttore scientifico del progetto Scuola Digitale, ha inviato a LTA. 
Non è questa la sede per argomentarlo, per capirci è sufficiente dire che l'asse di tutto il progetto si è spostato dalla centralità delle scuole 1) che avrebbero dovuto lavorare su nuclei di contenuto aperti  (con totale gratuità per le famiglie), trasformabili ed esportabili su tutto il territorio nazionale, all'acquisizione dei materiali pronti dalle case editrici (di fatto con la stessa logica del libro di testo) snaturando di fatto l'idea portante del progetto e 2) esautorandole dalla gestione della piattaforma  e attribuendo al Miur, con buona probabilità all'Indire, la gestione dei nuovi contenuti.

Nel documento così sintetizza Tagliagambe:
Con la delibera adottata alla Giunta regionale il 31 luglio che cosa subentra a questo scenario? Una prospettiva i cui punti fondamentali possono essere così sintetizzati: 
- Rinuncia alla piattaforma propria per acquisirne una, fornita dal MIUR, cito testualmente, “coerente con le nuove caratteristiche che la stessa piattaforma tecnologica dovrà assumere entro la nuova logica del data center nazionale prevista dal piano di azione e di coesione”;
- Rinuncia ala produzione di contenuti didattici originali, così come descritti, e acquisto dei prodotti disponibili sul mercato; 
- Produzione autonoma limitata ai soli materiali riguardanti la lingua e la cultura della Sardegna; 
- Mutamento della configurazione e del ruolo del Centro di competenze per l’erogazione dei servizi di eccellenza, la cui costituzione costituisce uno dei punti focali del progetto, al punto da figurare nella stessa denominazione del Capitolato tecnico. La delibera, a questo proposito, dice infatti testualmente che “le mutate condizioni del contesto e il necessario riferimento nazionale del progetto rendono inoltre necessaria la ridefinizione degli assetti organizzativi e delle connesse procedure di governance a supporto delle reti scolastiche regionali e nazionali rendendo, quindi, necessaria una modifica della impostazione ipotizzata del centro di competenza”.

Rispetto a questo triste capitolo della scuola sarda non ci sono  molte parole da spendere.
Solo da rilevare la suddittanza della politica regionale verso gli interessi dell'editoria, ma questo si era già detto a proposito dei libri digitali,  e del Miur.
Il progetto potrà anche riempire le aule di Lim e di tablet di ultima generazione, ma ciò che lo caratterizzava in termini di innovazione, per quanto percorsi da notevoli limiti (Clic), si perde nell'incapacità della politica di segnare altre strade, anche resistendo alle "normali" pressioni del mercato e alla centralità del Miur. 
E Dio solo sa quanto ci sia bisogno in questa nostra disastrata isola di creare innovazione, di sperimentare anche attraverso la scuola e quindi passando per docenti, alunni e studenti nuove mentalità. Perchè questo intende principalmente Tagliagambe, rivendicare il ruolo di protagonisti nell'elaborare idee nuove anche a rischio di essere ingenui, ma sciogliendo i legami di subalternità psicologica che invece la politica rinforza.
Ma come diceva quel tipo "Se uno il coraggio non ce l'ha non  se lo può dare".

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lunedì 6 agosto 2012

Bambini: Curiosity ci fa curiosare su Marte

Quando siamo andati sulla luna eravamo tutti incollati alla tv, anche se voi bambini non lo sapete perchè non c'eravate ancora, ora che c'è internet il nostro naso si è incollato al monitor del pc sul sito della Nasa che stamani ha trasmesso le immagini dei tecnici del centro Nasa in attesa dell'ammartaggio di Curiosity. 


Si tratta di un "robottino", che dopo circa otto mesi di viaggio, è atterrato alle sette e trenta di oggi sul cratere Gale di Marte. Solo qualche minuto d'impaziente attesa e di respiro trattenuto poi sono arrivati i primi segnali. Curiosity  ha fatto sapere di essere vivo e vegeto (si fa per dire), integro e in grado di comunicare, alle emozionanti urla di esultanza dei tecnici sono seguite le primissime immagini dell'arrivo.

Ora non resta che attendere le altre immagini e lasciar lavorare il robot: e anche stavolta, cari bambini, potremo dire che sì, in qualche modo, grazie alla tecnologia e alla scienza, ci siamo stati anche su Marte.

In questa pagina dedicata alla missione su Marte MSL: Mars Science laboratory si può seguire la storia del viaggio di Curiosity.
Dentro Curiosity c'è un po' del nostro paese: un chip che contiene l’autoritratto di Leonardo da Vinci e il Codice del Volo, per iniziativa dell’Agenzia Spaziale Italiana (Asi), Tg della Rai Leonardo e del Jet Propulsion Laboratory (Jpl) della Nasa. (clic)

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sabato 4 agosto 2012

Alla ricerca delle generazioni perdute

In questi giorni, nonostante siamo tutti alle prese con gli arbitraggi dell'Olimpiade di Londra, non è passata inosservata l'affermazione di Monti (clic) che, riferendosi alla generazione dai trenta ai quarant'anni, l'ha definita, con l'immancabile spinta del linguaggio giornalistico, quello che fa presa sul grande pubblico, "generazione perduta":  in buona sostanza coloro che sono restati fuori dal mercato del lavoro.
Se non sbaglio a fare i calcoli si sta parlando dei nati intorno agli anni ottanta suppergiù. 
Io che di anni ne ho parecchi di più e che quelle generazioni le ho conosciute bambine,  io che vivo nella profonda provincia del sud dove lavoro in realtà non ce n'è mai stato, se mi volto a guardare di generazioni perdute ne vedo assai di più e per tanti ordini di motivi.
A partire dalla generazione poco precedente alla mia, diciamo due o tre anni in più:  figli di operai, di impiegati, figli di commercianti, di politici, di professionisti e figli di disoccupati. Liceali, ragionieri o scolasticamente morti prematuramente, sono poi morti nella realtà vera, prima di droga e poi di AIDS, mentre nascevano quegli altri di cui parla Monti nell'intervista. Chi non è morto è emigrato. Tutta una generazione è scomparsa dalla vita pubblica e di conseguenza in quella politica. La droga e l'AIDS per almeno un ventennio sono stati la prima causa di morte da queste parti.
La generazione ancora precedente alla loro era emigrata in massa durante il boom economico, perchè era scoppiato da altre parti ma non di certo qui.
Poi c'è stata la mia generazione, in gran parte si è occupata nel pubblico impiego, chi non ce l'ha fatta è rimasto a terra e chi è entrato in fabbrica è restato a terra lo stesso, perchè le fabbriche quelle poche che c'erano non ci sono più. 
E via dicendo fino alle generazioni più vicine per i quali si può tranquillamente fare un unico discorso: sono quasi tutti emigrati, rimangono gli artigiani, come i parrucchieri, gli impiegati nella piccola e media impresa, nell'edilizia, nel commercio, l'allevamento e l'agricoltura. Nel pubblico impiego è ormai impossibile entrare. Il resto scappa a gambe levate.
E chi come me ha la fortuna e l'onere di stare a contatto con le nuove generazioni, e ha visto passare le precedenti, sa bene che di perduto c'è parecchio di più. Sa anche che perduto non è neppure il termine giusto, anche perché i perduti sono quelli  morti. Stiamo parlando di quelli che restano indietro, che tirano a campare, che non possono comprare casa e se a volte in molti di loro hanno una parte di responsabilità personale, perchè le colpe sono sempre almeno metà e metà, dall'altra parliamo di una grandissima parte del territorio Italiano che non offre nulla. Di interi territori perduti, quelli sì, nel degrado, nella trascuratezza, nell'incuria.
Allora ad essere obbiettivi dovremo parlare di inventiva, di creatività, di sviluppo perduti. Ora la domanda è: chi se ne doveva occupare?

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mercoledì 1 agosto 2012

Le vite passate degli altri

Capita spesso che guastandosi il tempo estivo o assaliti da nostalgia invernale, noi si torni sui nostri passi. Passi antichi, strascicati di fatica, il cui eco sì è perso nel silenzio irreale di questi luoghi, nel loro essere diventati museo a cielo aperto. Sentinelle le case e i vecchi palazzi, il biglietto ha il costo della pazienza di saper vedere. 

Case si fa per dire: muri portanti di pietra coi tetti sventrati, da cui si intravedono pareti scrostate a cerchi concentrici che raccontano le numerose imbiancature. Altre case ben conservate, custodite gelosamente in un angolo di verde riparmiato al furore del fuoco che avvolge ciclicamente.
All'osservatore attento non sfuggono i segni della vita passata di cose lasciate preda del tempo e dei suoi rigori. Si deposita la polvere consumando i segni della battaglia per la vita, il lento andare quotidiano del minatore, avanti e indietro a faticare.

E ancora le case padronali, gli uffici, conservate da recenti restauri non si sa per chi, perché nessuno le utilizza, forse solo per la memoria. I locali pubblici, gli ostelli, gli alberghi come nobili caduti completamente in disgrazia li intuisci dai resti delle insegne che erano parte di una grande idea, di un progetto che sarebbe dovuto continuare per tanto tempo ancora, poi morto di passività di bilancio, di attività "poco remunerative".

Ingurtosu posata nella valle di fronte al mare di Piscinas dorme dimenticata, la promettente favola aleggia ancora fra le case e le rovine, negli oggetti e nelle pietre, ma è una favola che non finirà bene: nessuno verrà a svegliarla per riportala all'antico splendore.

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