Sono sicura nella mia educazione c'è più d'un errore.
Quando alla scuola Media gli altri uscivano da scuola allegri perché c'era l'assemblea sindacale, io ricevevo l'ordine di rientrare a casa e di occuparmi di qualche facenda domestica. Lo facevo. Non che non avessi la tentazione di unirmi agli altri, anzi lo desideravo molto, ma il senso del dovere era molto più forte e seppur malinconica mi occupavo della mia piccola incombenza.
Poi alle Superiori ho conosciuto i primi scioperi studenteschi, niente di che, si scioperava per il riscaldamento guasto, si scioperava perché era doveroso manifestare il nostro dissenso giovane verso il mondo costituito degli adulti. Studentessa al primo anno non mi rendevo conto nemmeno di cosa ero e tantomeno avevo in mente un disegno del mio futuro. Mi lasciavo trasportare dalla corrente, come tutti a quella età. E quel primo sciopero per il riscaldamento che mancava o per i problemi alla sede staccata, e chi non l'aveva una sede staccata allora? lo ricordo ancora.
In corteo per qualche ora intorno alla scuola a cantare slogan, quattro leader che andavano a trattare la resa, poi via tutti verso la libertà nei bar e nelle piazzette del paese. Il giorno dopo si rientrava a scuola.
Che ne so cosa sarà stato, sta di fatto che mi sono sentita abbastanza in colpa, non di quel tempo giovanile che quando è passato tra giovani è speso bene sempre e comunque, quanto della consapevolezza che lo sciopero era un'occasione.
Un'occasione persa per riflettere, che non ho capito subito, ma sul finire del secondo anno ho cominciato a pensare quanto fosse inutile scioperare, senza mai costituire un presidio stabile di contrattazione con il modo degli adulti, un dialogo (sempre che ci venisse concesso, perché mica lo so se si sarebbe potuto realizzare). Sta di fatto che ho iniziato a convincermi che fatto così uno sciopero fosse inutile e spontaneamente, senza che nessuno me lo chiedesse, quando si preparava uno sciopero io me ne restavo direttamente a casa.
Dalla fine della seconda superiore in poi, ho cominciato sul serio a pensare che tutto ciò che avrei potuto cambiare sarebbe dipeso da ciò che fossi riuscita a costruire. Compreso il mondo della scuola. E così è stato non nella scuola come istituzione ma nella scuola del mio quotidiano.
E non è che mi sono convinta di essere contraria agli scioperi, no, mi sono convinta che far la parte degli sbandati che scioperano per bigiare la scuola non era per me.
Poi erroneamente l'ho insegnato a mia figlia, non le ho permesso di occupare la scuola insieme agli altri, quando poi mi ha chiesto se secondo me era una buona idea partecipare a una forma di protesta basata sull'autogestione con un'organizzazione che prevedeva anche gruppi di studio e altri che gestivano una trattattiva con il preside, ho detto che era una buona idea. E la cosa si fece e fu una bella esperienza.
A miei piccoli alunni cerco di far capire la stessa cosa: anche a loro non insegnerò che la protesta di
piazza è sempre giusta, gli insegnerò a perseguire un obiettivo. A me pare
un'arma molto più efficace.
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