di Maestra Rosalba

venerdì 5 settembre 2014

Due brevi riflessioni su La buona scuola

E' da ieri che ci penso se valga o meno la pena di scrivere due righe sul rapporto sulla scuola, il 
"patto", presentato ieri l'altro dal governo Renzi. Confesso che me lo sono vista appena rientrata a casa l'altra mattina, ho scorso il pdf famelicamente interessata verso le questioni più urgenti. Pur comprendendo la necessità di una ventata di ottimismo, innegabilmente necessaria, l'assenza di iniziative incisive sulle questioni più impellenti è sintomatica dello scollamento tra chi a scuola ci vive e tra chi la vede da lontano, per sentito dire, dalla scuola idealizzata reminiscenza della propria gioventù.

L'idea di superare il meccanismo delle supplenze, stabilizzando i docenti precari non è di per sé errata, ma va riconosciuto che per la scuola, per l'organizzazione, esso di fatto costituisce uno dei problemi minori. Lo è semmai per i docenti che costretti a una vita di precariato giungono al ruolo ormai stanchi e disillusi, dopo una vita passata a rincorrere graduatorie. Ben vengano pertanto le assunzioni, se davvero si potranno fare, ma più come necessità sociale che non come soluzione ai problemi della didattica e della continuità.

Il discorso sulla valutazione era in parte già impostato da progetti precedenti. In realtà non è molto confortante il fatto che si insista sulla valutazione del singolo docente, idea che purtroppo presuppone una scarsa conoscenza dei meccanismi che regolano i rapporti (o conflitti) nella scuola di oggi, il fatto che solo il 66% dei docenti avrà accesso agli scatti non potrà che acuire la sofferenza interna che già si registrò quando furono introdotti il fondo d'istituto e/o le funzioni strumentali.  Sarebbe preferibile innescare meccanismi di valutazione delle singole istituzioni, per gruppi di lavoro, per team, per poi passare gradualmente al portfolio del docente. 
L'idea di erogare i fondi sulla capacità di promuovere e attuare l'autovalutazione e il miglioramento, indicata nel progetto sulla valutazione delle scuole, non pareva del tutto errata, se di base significava spingere le scuole, le istituzioni, gli istituti comprensivi verso le "buone pratiche". Allo stesso modo si potrebbero prevedere i passaggi di carriera. 
Non è superfluo ricordare che  docenti indicati come incapaci di fare il loro lavoro corrispondono spesso a docenti incapaci, o più spesso lasciati soli, di gestire le classi per i problemi non sempre di natura didattica. Nasciamo come docenti ma oggi sarebbe più corretto definirci mediatori, non solo di contenuti ma anche della frustrazione, dei problemi, del disagio sociale che entra quotidianamente a scuola. Disagio che è sempre più faticoso contenere proprio nelle aule, diventate  catalizzatrici di problemi, anziché occasione di riscatto come era un tempo, senza dimenticare che è proprio da esso che  in parte si sviluppa il fenomeno dell'abbandono scolastico. La scuola non è più vissuta come occasione, ma come parte del problema, perfino anche quando offre una buona realtà. Il ruolo del docente, così come il suo compenso andrebbe rivisto alla luce di questa realtà e non di un sogno. Il sogno ci sta, guai se non ci fosse, ma non possiamo dimenticare la nostra quotidianità, al cui interno si incontrano, o si scontrano se preferite, la necessità di fare scuola, di costruire sapere, con i sempre più impellenti bisogni degli alunni, con sempre meno radici e punti di riferimento e di una famiglia che delega il fatto educativo, l'apprendimento delle regole, limitandosi a un'affettività troppo spesso colpevole, se non perfino morbosa e frustrante.

Detto questo, come dicevo, nel documento si distinguono per l'assenza le iniziative contro il burnout, fenomeno che è solo all'inizio, l'abbandono scolastico, appunto, le iniziative atte a supportare i docenti nella gestione di classi sempre più problematiche, con alunni che vengono da situazioni oramai talmente fluide da non essere nemmeno codificabili, nella gestione del rapporto con le famiglie, le quali sempre più condizionate da una informazione sensazionalistica si convincono di mandare i propri figli nella giungla, salvo poi ricredersi quando toccano con mano la realtà. E manca un riferimento forte alla didattica, pur con il lodevole "coding e pensiero computazionale nella primaria", con l'ora di musica e le due di ginnastica, per gli ultimi due anni, che per inciso non sono mai sparite, per finire con l'economia e la reintroduzione della storia dell'arte alle superiori.
Ovviamente ci sono un sacco di idee buone, ad esempio il ruolo degli ispettori, tornano in mente tanti colleghi di un tempo che, Sergio Neri tanto per citarne uno, pellegrinavano da una scuola all'altra, a fare esperienza di scuola, a salutare la scuola viva, quella che negli uffici centrali è percepita di rado. Magari potessi ospitare uno di loro nella mia aula con i miei 24 alunni di seconda, quante cose avremm da raccontare.

Il tema degli scatti stipendiali, argomento che più di tutti è causa di forti mal di pancia.  Tutti gli operatori della scuola sono pienamente consapevoli del grave momento e in silenzio, solidalmente a milioni di altri lavoratori del pubblico impiego e non, attendevano la svolta economica che avrebbe riportato i contratti di lavoro e gli scatti di anzianità diligentemente maturati con il servizio. Fatti due calcoli e sentito il parere del ministro Madia, non ci saranno novità se non al termine di questi mille giorni iniziati ieri l'altro. In pratica se ci accorderemo su questo patto, se i docenti faranno ciò che è richiesto: migliorare la proposta didattica, accrescere la professionalità, curare l'aggiornamento, fra tre anni accederanno allo scatto stipendiale, scadenza che, ohibò, coincide, a cavallo, intorno, circa, un po' prima un po' dopo, fate voi, con la scadenza del governo. Non succederà, vero,  che  a distanza di qualche giorno dall'avvio degli scatti, quando allungando una mano  sembrerà quasi di toccarli, che nessuno verrà a dire "se ne riparlerà con la prossima riforma"?


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